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Frasi killer nelle relazioni organizzative

Le frasi killer nelle relazioni organizzative

Nelle relazioni organizzative sono ricorrenti numerose frasi “killer” che possono metaforicamente “uccidere” l’integrazione, la creatività, la motivazione o la discrezionalità.

Nei rapporti interpersonali fra colleghi o fra capi e collaboratori, si usano spesso fastidiose  “frasi fatte”, a volte formalmente inappuntabili ma che rischiano di danneggiare la relazione, anche quando non sono pronunciate con intenzioni conflittuali.

In questo articolo[1] sono riportate dieci frasi killer, tra quelle più diffuse (ma l’elenco potrebbe comprenderne molte altre). Combatterle non è facile ma forse leggerle può servire a rifletterci sopra, a riconoscerle quando le ascoltiamo e, se qualche volta le abbiamo dette, a riconsiderarle con spirito autocritico.

  1. Si è sempre fatto così

Quante volte abbiamo ascoltato o detto questa frase ?

Quando l’abbiamo ascoltata, siamo stati probabilmente frenati nella nostra voglia di portare avanti un cambiamento. La frase è formalmente ineccepibile e non c’è dubbio che spetta agli innovatori convincere (vincere-con) i propri interlocutori della validità delle proprie idee ma è anche vero che non si sarebbe mai inventata la ruota se, nell’evoluzione della specie, fossero prevalsi i sostenitori del “si è sempre fatto così”.

  1. Non è di mia competenza

E’ la frase emblematica della burocrazia ed è anch’essa formalmente corretta. Da un punto di vista normativo, infatti, può essere certamente vero che non compete al nostro interlocutore quella risposta o quella pratica. Ma in un’ottica integrativa, ci si aspetta almeno una parola di conforto, di condivisione del problema, di supporto, di indirizzo. E invece, con il “non è di mia competenza”, si alza un muro che “uccide” di fatto la relazione interpersonale.

  1. Non ho tempo

Chi dice questa frase sottintende che vuole dedicare il suo tempo ad altre faccende e metaforicamente “uccide” la relazione con il proprio interlocutore, facendogli capire che la sua presenza o il problema di cui è portavoce sono meno importanti di ciò che sta facendo. Ma spesso la voglia di non essere disturbati impedisce una corretta valutazione delle priorità e magari ci si accorge troppo tardi di aver trascurato una questione rilevante.

  1. Sono altre le cose da fare

E’ la frase tipica del “benaltrismo”. Chi l’ascolta viene di fatto frenato nella propria voglia di fare, ma chi la dice spesso non fa né quella cosa né le altre. E così i problemi si trascinano nel tempo senza trovare soluzioni.

  1. Chi te lo fa fare ?

E’ la frase che più di altre frena la motivazione individuale e, anzi, espone chi ha voglia di fare al rischio di sentirsi poi criticato per un eventuale errore (con la variante “chi te l’ha fatto fare ?”). E’ anche la frase più diseducativa per un neo-assunto e viene purtroppo spesso pronunciata da chi vuole inibire l’entusiasmo dei giovani.

  1. Mandami una mail

Apparentemente è una frase innocua, giustificata dalla situazione ma spesso è un modo per chiudere bruscamente una conversazione e per rinviare la soluzione di un problema (che invece l’interlocutore sperava di risolvere velocemente). La stessa frase denota a volte un uso difensivo della comunicazione (all’insegna del “verba volant, scripta manent”).

  1. Non hai capito

Metaforicamente si configura come uno “schiaffo” relazionale che danneggia il rapporto interpersonale. E’ una frase ampiamente diffusa non solo nelle organizzazioni aziendali e basterebbe sostituirla con “Forse non mi sono espresso bene” (anche quando si è sicuri del contrario). Purtroppo però, soprattutto nelle discussioni accese, spesso si perde la ragione.

  1. È urgente

Di solito il dialogo continua con “per quando serve ?” e la risposta scontata è “per ieri”. Bisognerebbe almeno spiegare i motivi dell’urgenza e magari evidenziare all’interlocutore l’importanza del suo contributo per la realizzazione di un obiettivo aziendale (a meno che la richiesta non riguardi un favore personale). Ma pochi lo fanno e i più preferiscono fare una pressione generica, poco rispettosa delle esigenze altrui.

  1. Devo prima sentire il mio capo

E’ una frase che somiglia molto a “non è di mia competenza” ed è anch’essa sicuramente giustificata dall’assetto organizzativo. Certamente chi la dice non può e non deve assumersi una responsabilità non sua ma potrebbe aiutare l’interlocutore, magari fornendo qualche informazione in più o un parere non vincolante, anziché troncare di fatto la relazione, rinviando la risposta.

  1.  Te l’avevo detto

Può darsi che chi dice questa frase effettivamente l’avesse detto (ma probabilmente non era stato convincente). La frase però irrita inutilmente chi l’ascolta, forse già infuriato o preoccupato per quanto accaduto. Nei processi di comunicazione, ogni volta che si cerca di assumere una posizione di superiorità, si compromette l’equilibrio relazionale.


[1] pubblicato da Aif Learning News (ottobre 2019)

Paolo Macchioni –  Associate Partner

associate partner, consulenza HR, formazione, Frasi killer, Paolo Macchioni, relazioni organizzative, risorse umane

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